Marco Onofrio. Relazione su “Echi e sussurri” di Giorgina Busca Gernetti durante la presentazione del libro alla Camerata dei Poeti di Firenze

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Fino agli anni ’70 del Novecento ci si rivolgeva al poeta per scrutare il segreto della vita: il poeta era ancora il “sacro mediatore” del senso ultimo delle cose. Poi è venuta meno ogni “aura” romantica. Oggi non c’è più spazio per il Sublime. Eppure un autore grande e certamente estraneo alle facili ingenuità, Giorgio Caproni, si ostinava a definire il poeta un “minatore” poiché si cala a fondo nelle “segrete gallerie dell’anima”, da cui attinge i “nodi di luce” che, sotto la superficie dove appaiono diversissimi tra individuo e individuo, sono comuni a tutti. Tutti i rami dell’“albero”, cioè, vengono dalla stessa radice. È laggiù che ritorna il poeta, e da laggiù risale la suggestione della sua parola. Paul Celan ne Il meridiano parla di “vie creaturali”, cioè di poesia come figura, direzione, respiro: una specie di “ritorno a casa”.

Ebbene, si prenda ad esempio Echi e sussurri di Giorgina Busca Gernetti (Polistampa, 2015, pp. 120, Euro 10). Nulla in questo libro è casuale: né l’architettura delle parti, né gli eserga da Rilke che le precedono, né la disposizione delle liriche, né il titolo. Si ponga attenzione proprio al titolo. Gli “echi” alludono all’eterno ritorno, alla ricorrenza dei cicli e delle stagioni, al palpito cosmico; i “sussurri” alludono alla vocazione linguistica del reale – tra svelarsi semiotico e ritrarsi simbolico, tra incanto e disincanto, tra sentimento e ragione. L’assunto “filosofico” di base è che Tutto comunica incessantemente: ogni cosa libera nel vuoto la propria immagine, lo stampo del proprio volto, l’irradiazione delle proprie energie. Giorgina Busca Gernetti è una “sognatrice dell’essere” attraverso il divenire, l’impermanenza, la metamorfosi perenne. E nel cuore della metamorfosi c’è il Logos, il plesso infinito delle direzioni, l’apertura cosmica dell’uomo vitruviano. La poesia è dunque uno spazio epifanico: uno schermo dove scorrono le figure del nascente che sorgono mentre quelle moriture scompaiono, e tutto si rimpasta e si trasforma incessantemente. Penetrando oltre la crosta fallace delle superfici, si capisce l’appartenenza di ogni minimo dettaglio al “radioso disegno”. I fili della trama sono strettamente annodati: tout se tient. Il poeta deve raggiungere il silenzio che lo attende oltre sovrastrutture, inganni, false voci dell’io: azzerare le interferenze per ritrovare la “traccia infinita” del Dio perduto, cioè – con le parole di Pablo Neruda – l’«antica sorgente che abbracciava l’uomo intero, la sua apertura, la sua abbondanza traboccante». Insomma: il Sublime che la modernità e soprattutto la post-modernità hanno impropriamente soffocato.

Per tornare alla condizione olimpica del mondo classico occorre una salute “incorrotta” alla quale agganciare il canto, ma soprattutto una grande disposizione all’ascolto: trasformarsi in “orecchi che ascoltano” l’Essere fin nella struttura segreta del silenzio: voci impercettibili, brividi, fremiti, riverberi, pulviscoli. Le antenne sopracute del poeta captano la microfisica dell’invisibile e raggiungono le sfumature infinitesime del vuoto. Ecco perché la seduzione della Notte, che eliminando col buio la vista fisica accende la visione metafisica.

ALLA NOTTE (lettura della poesia da parte dell’Autrice)

La notte è sacra, madre, amica: è spoliazione dell’inessenziale e, dunque, varco per raggiungere l’essenza. Giorgina Busca Gernetti vuole annullarsi nell’alveo originario della notte, in una sorta di regressione uterina che simboleggia la rinascita della luce attraverso la tenebra (mezzanotte è quando il giorno comincia). La tenebra è condicio sine qua non per raggiungere la luce dell’essere, così come l’opacità della materia lo è per la limpidezza dello spirito, e la memoria lo è per l’innocenza originaria. La memoria in questo libro viene declinata secondo due possibilità: è strumento di conoscenza, ovvero filtro di chiarificazione autologica; è veicolo trasumanante, fino al ricordo senza tempo della condizione prenatale. Giorgina Busca Gernetti ha sensibilissime corde elegiache, e risuonano spesso di nostalgia metafisica: sogna di andare “oltre le bianche nuvole” per raggiungere la verità, tornando alla condizione di pienezza perduta. In questo c’è una pulsione ulissiaca guidata dal “nostos”, che è anche il ritorno a casa di cui parla Celan. Ma è un Ulisse che si manifesta sotto forma di Orfeo. Il poeta perde costantemente la sua Euridice (cioè l’apertura del mondo che si articola tutta in ogni istante, irripetibile e caduco), ma è proprio perdendola che può farla apparire attraverso la parola. Per questo il poeta è l’ape dell’invisibile, da cui secerne il miele stellare del canto. È la parola poetica che consente alle cose di manifestarsi. Le visioni sorgono, nel canto orfico, da una sorgente arcana e profonda, dimorante nei pressi dell’essere. Le cose “ascendono” nel canto del poeta, sorgono nel suono illuminate.

Giorgina Busca Gernetti penetra oltre la gabbia delle superfici, donde emerge la complessità aporetica del reale, e lì si abbandona al cuore pulsante delle cose così come sono. Laggiù il poeta si fa ventriloquo della divinità che abita il mondo: trascrive il soffio epifanico delle energie che guidano la sua voce, con fedeltà necessaria: come sotto dettatura. Viene subito in mente la risposta di Dante a Bonagiunta Orbicciani da Lucca (Purg. 24): “I’mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando.” Da lì, come sappiamo, nasce il “dolce stil novo” che rivoluziona gli impianti noetici e stilistici della poesia europea. Questa sincerità “totale” pone la casa del poeta al centro delle verità dell’universo, e implica una devozione all’Essere che le poetiche del “disincanto” modernista e postmoderno hanno completamente e colpevolmente smarrito. Giorgina Busca Gernetti ha il coraggio di proporre un itinerario poetico dirompente e inattuale, nella misura in cui non rinuncia a priori alla dicibilità del mondo, alla fede nella parola, alla possibilità di affrontare con efficacia, lasciando una traccia, i temi più importanti. La vocazione orfica è diretta conseguenza dell’ascolto, e del fatto che le cose sono piene di musica, anzi: sono esse stesse “musica”: le rote degli astri, l’aria-sinfonia, l’arpeggiare melodico del vento, il salmodiare delle onde marine, la musica serenante delle spighe, i campi di papaveri squillanti, etc.:

Voci difformi in arcana armonia
che solo nel mio animo si svela
e risveglia sopite sensazioni,
corrispondenze segrete tra i suoni.

Il mondo è un sacrario di suoni che manifestano le energie cosmiche della materia, e da tutte queste “corrispondenze segrete” si libera l’arcana armonia dello spirito, infuso ab origine dentro l’universo. I portati della materia, più o meno accidentali, sono “trampolini” dai quali il poeta prende slancio per tuffarsi nel mistero che alberga oltre la superficie delle cose. La tensione poetica di Giorgina Busca Gernetti è spesso orientata al cupio dissolvi: l’amore immenso, misterioso e commovente scolpito nella Natura la spinge a con-fondersi ai colori, diventare luce, unirsi all’abbraccio del mare, dimenticarsi, dimenticare tutto. Ecco il tempio azzurro del Mediterraneo. Il meriggio assolato dell’Ellade. L’ora divina e panica delle apparizioni. Le immagini elleniche che riattualizzano l’eternità del mito.

SULL’ACROPOLI D’ATENE

(…)

Dimenticare tutto, abbandonarmi
e perdermi nel favoloso Mito
sbocciato come un fiore in tempo antico,
ma vivo e palpitante nel mio animo:
sacro Mito immortale.

Mythos, Mythos, Mythos

Vibra in questi versi una splendida sintesi creativa della cultura poetica occidentale: il mondo classico, parte riattinto per esperienza diretta e intuitiva, parte filtrato per rielaborazione classicistica; il modello leopardiano della poesia-pensiero; l’Ellade d’impronta germanica (Hölderlin, Nietzsche, Rilke); il dialogo fra le tenebre nordiche e la grande luce mediterranea (l’autrice stessa è di origine padana); il decadentismo europeo; gli echi dannunziani e pascoliani, etc. È una suggestione simbolica da cui emerge, infine, Orfeo come simbolo di consonanza e intersezione dell’uomo nel cosmo, nella misura in cui mette in equilibrio dinamico natura e cultura, mito e storia, divinità e umana fragilità.

L’ETERNO CANTO DI ORFEO

Ovunque è poesia. Ovunque guardi
con animo commosso ed occhio attento
al più piccolo fiore tra le pietre
sbocciato a stento, ma con vital forza
d’aprirsi un varco, d’innalzarsi al cielo,
c’è poesia fiorente intorno ai petali
come intenso profumo in primavera.

Orfeo risorto, non mai morto Orfeo.
Perenne il canto suo nella natura,
nel cielo, nelle stelle, nella luna
piena, calante, oppure nuova e tacita
nella valle, o crescente sopra i colli
come sottile falce all’orizzonte.
Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo.

Il canto di Giorgina Busca Gernetti nasce dalla natura profonda delle cose e raccoglie tutta la cultura che siamo per riconsegnarla infine alla natura, oltrepassata su un piano evolutivo superiore. Poeti di questa tempra aiutano a riaggiustare lo sguardo, a capire che la bellezza può vincere la morte; che insomma la poesia non può finire giacché è il respiro stesso della vita, e in quanto tale è – come dice Ungaretti – «il mondo l’umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento».

Marco Onofrio

 

Le presenti Note critiche, pubblicate nel blog Del cielo stellato della Edilet di Roma,  ripercorrono la Relazione pronunciata da Marco Onofrio durante la presentazione del libro Echi e sussurri  nella Camerata dei Poeti di Firenze il 9 divembre 2015

 

 

 

Informazioni su Giorgina Busca Gernetti

Amo la poesia, la musica classica, la danza classica, il canto lirico, l'arte, l'archeologia, i fiori, gli animali e il mare. Compongo poesie fin dall'adolescenza, benché abbia iniziato tardi a pubblicarle. Scrivo anche racconti, recensioni o saggi artistico-letterari. Sono nata a Piacenza e mi sono laureata con lode in Lettere Classiche all’Università Cattolica del S. Cuore di Milano. Sono stata docente d’Italiano e Latino nel Liceo Classico di Gallarate, città dove tuttora vivo. Ho studiato pianoforte presso il Conservatorio Musicale di Piacenza. Sono stata socia di Centri culturali prestigiosi come il “Pannunzio” di Torino, “Novecento Poesia” di Firenze e l’“Accademia Internazionale d’Arte Moderna” di Roma. Ho pubblicato dieci libri di cui otto di poesie Ho pubblicato per Genesi di Torino i libri di poesia "Asfodeli" (1998), "La luna e la memoria" (2000), "Ombra della sera" (2002) e "Parole d’ombraluce" (2006); per le Edizioni del Leone di Venezia il libro "Onda per onda" con prefazione di Paolo Ruffilli (2007); per Youcanprint il libro di poesie d'amore "Amores" con introduzione dal "Simposio" di Platone (2014). Mi sono state pubblicate come 1° premio quattro sillogi di poesie: "Nell’isola dei miti", ALAPAF, Bagheria 1999; "La luna e la memoria", Edizioni del Cenacolo, La Spezia 2000, poi confluita nell’omonimo libro maggiore; "La memoria e la parola", ETS – Il Portone Letteraria, Pisa 2005; "L’anima e il lago", con prefazione di Giuseppe Panella della Scuola Normale Superiore di Pisa, Pomezia-Notizie, Pomezia 2010; seconda edizione con Nota dell'autrice e Rassegna critica per Youcanprint, Lecce 2012 . Il mio saggio critico "Itinerario verso il 27 agosto 1950" è stato pubblicato nel 2009 dal Centro “Pannunzio”, nei suoi “Annali” 2008/2009, per il Centenario della nascita di Cesare Pavese. Per la Puntoacapo Editrice di Novi Ligure ho pubblicato nel 2011 un inserto di sette racconti nell’Almanacco Dedalus n. 1 ("Sette storie al femminile"). Nel 2012 ho pubblicato in volume singolo il saggio pavesiano "Itinerario verso il 27 agosto 1950" per le Edizioni Youcanprint di Lecce. Le "Sette storie al femminile", con Prefazione di A.G. Pessina e Nota dell'Autrice, sono uscite in volume individuale per Youcanprint, Lecce 2013. Nel 2014 ho pubblicato per Youcanprint il libro di poesie tutte d'amore intitolato "Amores", con introduzione di Platone dal "Simposio". Nel 2015 è uscito per Polistampa, collana "Sagittaria", il mio libro di poesia "Echi e sussurri", con prefazione del prof. Marco Onofrio e postfazione-nota editoriale del prof. Franco Manescalchi. Bellissime recensioni Mie poesie, talora tradotte in varie lingue straniere, qualche racconto e saggio artistico-letterario figurano in riviste e antologie anche per la scuola. Sono stata inclusa in alcune storie della letteratura contemporanea e in varie opere di critica letteraria. Eminenti critici hanno espresso giudizi di consenso sulla mia poesia e narrativa. *************** Questo blog non è una "testata" giornalistica e non è aggiornato con regolare periodicità. Privo dei due requisiti che lo dovrebbero contraddistinguere, non può pertanto considerarsi un "prodotto editoriale" ex lege 7/3/2001, n.62. Non è quindi soggetto alle disposizioni e agli obblighi previsti dagli art.2 e art.5 della Legge n.47/1948.
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